lunedì 10 febbraio 2014

Renzi e la maledizione della "staffetta".


Gli ultimi sondaggi registrano un testa a testa fra Pd e Forza Italia. Il Movimento 5 Stelle, stabile da alcune settimane, dopo la bagarre degli scorsi giorni alla Camera dei Deputati e le polemiche con la presidente Boldrini viene dato in continua crescita. 

Matteo Renzi, dal canto suo, sembra ignorare questi dati e andare avanti per la sua strada, impegnato a rendere duratura, almeno in apparenza, la convivenza interna al partito con l'amico-nemico Enrico Letta. Ormai la staffetta al governo fra il segretario Pd e il premier è data come certa e sta spopolando da giorni sulle prime pagine di giornali e siti internet. Più paventata dai media che realmente voluta dalle forze politiche. Il governo è in perenne fibrillazione. Gli scossoni, provenienti più dalla maggioranza che dall'opposizione, tengono in un limbo l'azione del governo e del parlamento. Questa legislatura, secondo i dati riportati da Ballarò lo scorso martedì, vede i deputati quasi esclusivamente impegnati a ratificare i decreti legislativi di provenienza governativa che a presentare vere e proprie leggi di iniziativa parlamentare. Un governo in stallo e un'attività parlamentare ferma. In questa palude, il segretario Pd sta tentando di non farsi logorare. Tutto il tempo che lo separa dalle prossime elezioni, e lui lo sa, è decisivo per sancire l'affermazione o la morte della sua leadership. Dopo aver portato a casa la riforma della legge elettorale, che a fine gennaio è approdata in commissione riforme, l'azione riformatrice di Renzi sembra essersi affievolita. Uno stop che non giova all'immagine del giovane rottamatore fiorentino che deve alla novità tutta la sua fortuna e la credibilità della sua leadership politica. 

Smentito dagli stessi grillini, ieri, sulla possibilità che alcuni militanti-deputati potessero abbandonare il gruppo parlamentare per confluire nel Pd, Renzi, intervistato da Agorà, è tornato a ribadire di non voler prendere parte a nessuna staffetta con Letta, "sono tantissimi i nostri che dicono: ma perché dobbiamo andare al governo senza elezioni? Ma chi ce lo fa fare? Ci sono anch'io tra questi, nel senso che nessuno di noi ha mai chiesto di andare a prendere il governo".

Il segretario è convinto che la sua ascesa politica debba essere legittimata dal passaggio elettorale. Non a caso, nelle ultime ore, ha confidato ai suoi di non voler fare la fine del rivale D'Alema. Sarebbe pronto ad immolarsi e a occupare Palazzo Chigi solo a patto di una chiamata unanime e di un patto di governo che lo blindi alla guida del paese fino al 2018. Ma questo scenario sembra pressoché impossibile da realizzarsi. Sul fronte centro-destra, infatti, dopo il ritorno di Casini, Berlusconi è intenzionato a fortificare l'immagine di padre della patria. E' durata ventiquattro ore l'apertura del leader FI sulle preferenze poi prontamente smentita. 

Proprio per questo, Renzi nell'uscita domenicale ribadisce "nessun governo con Berlusconi". Il suo rivale è ancora il Cavaliere e di questo Renzi è consapevole. Tutto fuorché un clima tranquillo quello in cui è costretto a lavorare il rottamatore, che si è anche ricandidato a sindaco per le comunali di Firenze del prossimo maggio. I prossimi giorni sono decisivi. Le scadenze che attendono il governo sanciranno il destino non solo dell'esecutivo ma, inevitabilmente, anche quello del segretario del Pd. 

sabato 8 febbraio 2014

Tsipras: l'anti-Renzi che viene dalla Grecia.



Alexis Tsipras, 39 anni, leader di Syriza.                                
Alexis Tsipras 39 anni, da Atene. Queste le generalità della nuova stella della sinistra radicale greca, leader del partito di estrema sinistra Syriza candidato a presidente della Commissione Europea alle prossime elezioni di Maggio. Tsipras in questi giorni è in tour in Italia, con "l'obiettivo di unire la sinistra radicale europea" dice. E' arrivato ieri sera al Teatro Valle, il teatro più antico di Roma, occupato da più di due anni e ancora in autogestione, agitando in aria il pugno chiuso. La sua visita è l'occasione per lanciare una lista a suo sostegno nata da un appello a firma di un gruppo di intellettuali: da Flores d'Arcais a Andrea Camilleri, da Barbara Spinelli a Luciano Gallino.

Tsipras, che si ispira alla sinistra italiana "perchè la sua storia è stata un grande laboratorio da imitare" dice, ha come miti Togliatti e Berlinguer. Nella sfida impossibile alla conquista dell'Europa il giovane greco dovrà vedersela con il candidato dei socialisti europei Martin Schulz. Una vittoria è quasi impossibile ma ciò non toglie che l'enfant prodige ellenico possa dare non poco fastidio al socialista tedesco, costringendolo a una mediazione per la composizione del parlamento a urne chiuse.

Le ambizioni di Tsipras spaventano non poco l'Unione Europea. Gli obiettivi del suo programma politico sono essenzialmente tre: rinegoziazione del debito pubblico, contrasto al neoliberismo e riassetto della zona euro. Tsipras, pero, dall'Europa non ci pensa proprio a uscire poiché sostiene che uscire «sarebbe come abbandonare un edificio in fiamme senza spegnere l’incendio. L’Europa è il nostro campo di battaglia, qui si gioca la partita». 

La forza di questa leadership forte e carismatica, che in Grecia ha portato il suo partito a balzare in testa a tutti i sondaggi, ha una storia abbastanza lunga, che si intreccia con gli eventi che negli ultimi anni hanno inciso sul destino della Grecia. Alle elezioni del maggio 2012 per il rinnovo del parlamento greco Tsipras mandò in fumo ogni previsione di voto, conquistando il 16,8% dei consensi e ottenendo, pur senza mai darvi seguito, l'incarico di formare un nuovo governo dal presidente Papoulias. Alle nuove tornata del giugno 2012, pur ottenendo il 27% delle preferenze Syriza neanche stavolta riuscì ad andare al governo. Le "larghe intese alla greca" fra i socialisti del Pasok e i conservatori di Nuova Democrazia la relegarono al ruolo di opposizione. Questo ragazzo, erede della sinistra storica, è ormai una leggenda in Grecia, un tempo culla della civiltà occidentale oggi, invece, divenuta uno dei paesi a rischio default, in recessione dal 2009, con un tasso di disoccupazione che si attesta intorno al 27,3% e nuovi tagli imposti dal Fondo Monetario Internazionale e dall'Unione Europea per accedere al piano di aiuti e prestiti dell'UE.

Storia recente, dunque, che ha incuriosito i tanti delusi della sinistra italiana che ieri erano seduti in prima fila al Valle: da Paolo Ferrero e Paolo Cento a Furio Colombo e un defilato Stefano Rodotà che dichiara: "sono qui per ascoltare e capire. Non ho firmato l'appello". Il giovane astro della sinistra ellenica ne ha per tutti, compresi i colleghi italiani, Renzi e Grillo, a cui non risparmia attacchi al vetriolo. Riferendosi al segretario Pd dichiara "non basta essere giovani per fare qualcosa di buono". E per il leader del Movimento 5 Stelle, un consiglio "non si governa dicendo sempre no". Tsipras ha aperto così la sua tournée elettorale in Italia. Il suo esordio, pur conquistando non più di un trafiletto sulle principali testate nostrane, deve però incuriosire quanti guardano al destino dell'Italia e dell'intera Europa come due eventi collegati. Il bagno di folla a Roma è indice di un risveglio della sinistra europea che, assicura Tsipras, "se unita batterà la Merkel".


mercoledì 5 febbraio 2014

Milena Gabanelli strega l'Alma Mater: il giornalismo d'inchiesta, Report e il valore delle idee.

Non era ancora la regina delle inchieste televisive quando Ettore Mo, maestro di giornalismo del Corriere della Sera nonchè suo mentore, le confessò di aspirare "a un racconto senza aggettivi".  Quella fu per lei l'illuminazione. "Meno fuffa e più ciccia", più contenuti e meno intrattenimento. Così Milena Gabanelli, volto di Report su Rai Tre, racconta, di fronte a un'aula affollatissima, i primi passi di una carriera pluridecennale. Ultima ospite del ciclo di incontri "Cinque giornate di giornalismo", organizzato nell'ambito del corso di Laurea in Scienze della Comunicazione dell'Università di Bologna, Milena Gabanelli risponde alle domande di fronte al pubblico, per lo più giovani e studenti che hanno affollato l'aula A del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione. Due ore in crescendo, in cui l'ospite d'onore, affiancata dal giornalista Mauro Sarti, dalla professoressa Giovanna Cosenza e dal Rettore Ivano Dionigi (intervenuto in veste non istituzionale), si è concessa, senza sconti, alle curiosità e alle domande dei relatori e del pubblico. E' una Gabanelli forte, tosta, diretta. Interessata a interagire con i ragazzi, ai quali cerca di trasmettere tutta la fatica e la soddisfazione del lavoro del giornalista d'inchiesta.

Prima di arrivare al timone di Report, programma di punta di Rai 3 da 17 anni, la gavetta: porte chiuse, insistenza e caparbietà. Dopo 5 anni di lavoro presso le sedi regionali, la prima collaborazione in Rai con Mixer di Giovanni Minoli. E poi i teatri di guerra internazionali: Jugoslavia, Cambogia, Vietnam, Somalia, Cecenia. I primi esperimenti di "giornalismo del pleistocene", lo chiama lei. Telecamera e taccuino, solitudine e intuito. Servizi raffazzonati ma dal contenuto potentissimo. E' questa la formula che farà la fortuna di Milena Gabanelli e della sua squadra. Fino a Professione Report e poi il Report dei giorni nostri: servizi di argomento economico e temi scelti seguendo l'istinto dell"uomo-spettatore medio". Così la Gabanelli racconta il backstage del programma, forte di una squadra ormai collaudata, "affetta da patologia compatibile" scherza lei: Simona Giannini, Bernardo Iovene, Sigfrido Ranucci gli inviati storici.

Non è affatto rosa il presente e il futuro del ruolo dell'informazione in Italia, confessa la popolare giornalista. Abituata a fronteggiare le querele che i personaggi al centro delle sue inchieste puntualmente indirizzano tanto a lei quanto ai suoi collaboratori, Milena Gabanelli riconosce che c'è un problema molto grave di credibilità e "perdita della funzione sociale del giornalista in Italia". "C'è poca tutela del sistema dell'informazione" - confessa a malincuore la giornalista - e  l'abitudine a intimidire i giornalisti, contravvenendo così a garantire il diritto alla libera informazione". Per tutelarsi a Report, tutto viene riportato per iscritto: tesimonianze, interviste. Tutto viene conserato, verbali, atti, documenti. 

"A intorbidire il sistema è la politica", sostiene la Gabanelli. I politici rifuggono le domande scomode. Il ruolo del "watchdog", il giornalista a guardia del potere, nel Belpaese è un'utopia. Così si finisce quasi sempre in tribunale, dove le cause durano, se va bene, 7 anni. "Negli altri paesi - dice la Gabanelli - se trascini ingiustamente un giornalista in tribunale sei obbligato a risarcirlo con un multiplo di quanto hai chiesto". Ma lei, la donna delle inchieste sul Monte dei Paschi di Siena, Antonveneta, Finmeccanica, su Antonio Di Pietro e i rimborsi gonfiati nei consigli regionali, non demorde: "mi illudo di non fare un lavoro che non serve a niente, altimenti avrei già smesso". La signora delle videoinchieste conclude con un "one man show" il suo intervento fra gli studenti: li coinvolge, li interroga, si avventura tra la platea, mette in piedi una lezione, dà consigli pratici su come entrare nel mondo del lavoro. 

Tre le dritte per i futuri giornalisti: idee, costanza, preparazione. E una gran bella dose di pazienza. 

giovedì 30 gennaio 2014

Cosa resta delle (5) stelle.

Oggi per me non è un giorno di riflessione, di pentimento, di vergogna. Oggi, io non sono tra quelli che rimpiangono la scelta di aver votato il Movimento 5 Stelle.
Per carità, non contesto chi l'ha fatto o chi è ancora convinto del suo intendimento ma, e di questo sono sicura (data la notorietà della fisiognomica e della psicologia dell'elettore italiano medio, poco disponibile a tollerare scene come quelle di oggi alla Camera, in cui volano schiaffi, grida, insulti e in cui si occupa, a torto o ragione, un'istituzione) non credo che alla maggior parte degli elettori del Movimento queste scene siano piaciute poi tanto.
Gli italiani (compresi i cinquestellati), di qualsiasi orientamento politico, promuovono la politica della protesta pacifica: sì, che si faccia ostruzionismo purché sia quieto, calmo, non violento. Insomma, una protesta politica che potrebbe essere ribatezzata del "facitm sta quiet" alla napoletana, in cui sei coinvolto sì, interessato ma solo fino a un certo punto. Niente spargimenti di sangue, insomma: quelli alla tivvù sono roba da "frange estremiste". 
Della politica cheta è testimonianza anche il fallimento del "movimento dei forconi", che alla fine delle scorso anno fece allarmare, prima di spegnersi in un fuoco di paglia, più le televisioni che i cittadini. Ovviamente bisognerebbe realizzare un sondaggio per testare la verità delle mie parole ma il mio recente passato e il mio attuale presente da cittadina comune, figlia di persone comuni, vissuta in una comunità di gente semplice e orientata dagli stereotipi, mi fa ipotizzare che poi così tanto stereotipata la mia riflessione non sia.
Che il Movimento 5 Stelle potesse assumere quella che, a mio avviso, è una deriva comportamentale era già chiaro sin dalla costituzione del movimento e dall'esito delle elezioni politiche dello scorso 2013.
Un organismo, che rifugge l'etichetta di partito, a favore di un termine più popolare e populista come quello di "movimento" e che è composto da individui di derivazione eterogenea, dai più opposti intendimenti politici, divisi magari su questioni fondamentali (cittadinanza, bene pubblico, lotta alla mafia, ambiente), tenuto insieme soltanto dal collante Beppe Grillo, una delle espressione più semplici e pubblicitarie del sentimento dell'antipolitica cosa poteva generare oltre a una politica della protesta? 
Chi aspettava e aspetta ancora la proposta non deve restare deluso. Per generare proposta, un'azione politica deve essere a uno stadio della sua evoluzione che gli consenta di comprendere che l'ostruzionismo è fine a se stesso e che, volente o nolente, l'attività parlamentare passa anche attraverso lacci e lacciuoli che obbligano qualsiasi buona intenzione politica al confronto, alla mediazione e alla negoziazione con la parte avversa.
Tutto questo il Movimento stenta a capirlo. Ma quelli più ostinati non sembrano tanto i parlamentari, che pur hanno votato insieme al Pd, ieri, il la modifica al 416. ter, sullo scambio elettorale politico-mafioso (vedi qui)  quanto i capi storici, che hanno inanellato diverse brutte figure (vedi diritto di cittadinanza). La base e la direzione sembrano viaggiare su rotte diverse. E, dunque, mi chiedo, dove ha speranza di arrivare una flotta se il comandante non la indirizza sulla rotta giusta? 
Gli episodi di ieri e di oggi, perciò, con l'occupazione delle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali, la guerriglia a Montecitorio sul decreto legge Imu-Bankitalia, gli insulti sessisti alle deputate Pd, le colluttazioni fisiche con gli altri parlamentari fino all'assedio della presidente Boldrini cosa dovrebbero comunicare all'elettorato?
Fossi un elettore o anche un simpatizzante del Movimento queste domande me le farei. 
E' possibile trascendere fino a ricorrere alla violenza fisica per affermare le proprie idee? Dove è finito lo stato di diritto? Forse gli esponenti 5 stelle (fatto salvo alcune eccezioni) sono peggio dei politici conto i quali erano stati chiamati a misurarsi per imporre, finalmente, una nuova marcia al paese?
Può la politica, intesa come amministrazione della cosa pubblica, fare a meno della politica, intesa come dialogo e confronto aperto e democratico?
E, soprattutto, cosa resta delle cinque stelle? Cosa resta oggi di acqua, ambiente, trasporti, sviluppo ed energia?

sabato 25 gennaio 2014

Italicum: se Berlusconi si prende i meriti.

Nuova puntata nella disputa sulla legge elettorale.
E' di stamattina una dichiarazione di Berlusconi, ripresa dal Corriere della Sera: il Cavaliere, intervenendo telefonicamente a un incontro di forzisti a Napoli, ha rivendicato la paternità del disegno di riforma della legge elettorale che lunedì approderà alla Camera dei Deputati in prima lettura. "Le riforme di Renzi, sono le nostre - dice il Cavaliere - dopo vent'anni di insulti forse abbiamo trovato l'interlocutore nel nuovo leader del Pd", riferendosi al neo-segretario toscano. Così il leader in pectore di Forza Italia pone la propria firma sul testo di riforma, frutto dell'accordo siglato con Renzi una settimana fa, dopo oltre due ore di incontro nella sede del Pd al Nazareno. "Alcune di queste riforme - rilancia Berlusconi - sono quelle che approvammo già in Parlamento e che la sinistra cancellò con un referendum sciagurato. Altrimenti, l'Italia sarebbe un paese moderno già da anni". Con note al vetriolo il Cavaliere inaugura così la sua personale campagna elettorale, tentando di cavalcare l'ondata di ritrovata attenzione mediatica e fronteggiare il segretario Pd che, dal canto suo, pur di incassare l'accordo sulla riforma, da esibire come vessillo in vista delle prossime elezioni, ha accettato l'imposizione di Forza Italia sulle liste bloccate, anche a costo di provocare una frattura all'interno del suo stesso partito. Ora si attende la contromossa di Renzi, che certo non si farà attendere visto che il sindaco ha legato all'approvazione di questo pacchetto di riforme (revisione del titolo V e riorganizzazione del senato) il proprio futuro da leader Pd. Fonti lo danno impegnato a ultimare il testo prima dell'approdo in commissione riforme, dove l'iter non parte sotto i migliori auspici, vista la composizione della commissione nella quale Cuperlo batte Renzi 13 a 8.

venerdì 24 gennaio 2014

Rottamazione? Iniziamo dalle preferenze.



Quante volte negli ultimi mesi hanno tentato di convincerci che era meglio rottamare?

Ci siamo convinti, l'abbiamo fatto. Abbiamo rottamato. O meglio, loro hanno rottamato.

Al momento, almeno per quanto riguarda le vicende interne al Partito Democratico tale rottamazione sembra aver cominciato a produrre i suoi effetti. Se tali effetti siano positivi o negativi non ci interesserebbe stabilirlo se non fosse che ci si trova costretti a registrare uno spargimento (per la verità metaforico) di sangue e diverse teste mozzate. Una guerra civile, apparente, un tutti contro tutti, in cui si imbracciano fucili, ci si appunta le dichiarazioni al vetriolo del compagno di minoranza del partito per replicare ma, in verità, solo per procrastinare sempre un po' più in là il principio della fine. Le schermaglie interne al Pd producono nei più il più assoluto disinteresse. Esse sono, però, il sintomo più evidente del fallimento di un fenomeno, quello della rottamazione, che avrebbe potuto garantire più di quello che, al momento, ha effettivamente realizzato. 

Partita con il proposito di rottamare una classe dirigente e placare definitivamente le divergenze interne al partito, la gestione Renzi al momento annovera solo l'acuirsi delle medesime storiche contrapposizioni e una conduzione quasi patriarcale del partito, dove il dissenso non è contemplato. Sì, certo, si può sostenere che Renzi non abbia fatto altro che replicare un comportamento familiare ai leader di sinistra (l'accordo col giaguaro sul testo di riforma della legge elettorale) ma tale convergenza di abitudini non può e non deve divenire un'attenuante per chi si è autoproclamato come il nuovo e di tale ideale ha fatto il cuore della sua ascesa politica. 

Ė naturale per chi è abituato a vivere la politica in maniera passiva accontentarsi delle parole e reclamare i fatti solo nel segreto della cabina, per poi cambiare bandiera e avventurarsi nella sperimentazione di nuove dimensioni politiche: l'indeciso cronico petulante rappresenta il modello dell'elettore medio in Italia, disposto a cambiare casacca, da destra sinistra, da Forza Italia al Pd, dal Pdl a Rivoluzione Civile fino a giocarsi il tutto per tutto con i Cinque Stelle di Grillo.
Non sarebbe meglio, in quanto elettori, reclamare l'esercizio del diritto di rappresentatività nei confronti dei nostri parlamentari e dei nostri rappresentati, dentro e fuori i palazzi delle istituzioni? Invece di lamentarci a posteriori dell'insensatezza della prossima legge elettorale, un Porcellum rottamato più che un Italicum degno di questo nome, perché non fare qui, adesso, una battaglia quotidiana, per esempio, sull'introduzione delle preferenze? Non c'è appartenenza politica che tenga in una battaglia per la legalità poiché tale è quella sulle preferenze. Perché, allora, non pretendere da Renzi, dai renziani, dagli alfaniani, dai meloniani, da tutti coloro che si autoproclamano come il “nuovo” il rispetto del nostro diritto, nostro quanto loro, di scegliere i nostri rappresentanti, senza il listino bloccato, effetto del solito dictat dell'onnipresente e redivivo Berlusconi?
Si parte sempre dalle piccole cose e la rottamazione avrebbe dovuto partire proprio da questo per farci credere che sì, stavolta è diverso.
Le riunioni della segreteria alle sette e mezzo del partito, la parità di genere e la sbandierata età media sui “30 anni” dei componenti di tale segreteria non bastano a certificare l'avanzata del nuovo. La politica si misura secondo l'unità di misura del “fare”, come sostiene lo stesso Renzi. Qui, però, si è fermi al “mostrare, al far credere di fare”.
L'Italicum degno di tale nome, un modello di legge elettorale esportabile anche all'estero sarebbe un gran passo, un gesto pratico e simbolico importante per Renzi come leader e come modello politico.
Chissà se Renzi si accontenterà di divenire l'ennesima meteora del panorama politico italiano o deciderà di apporre un sigillo importante nell'evoluzione e per il futuro del nostro paese, ridando spessore etico e morale alla più nobile e antica delle arti, la politica.

Un unico consiglio: Matteo, fidati, cambia verso. Ma per davvero.


Da pochi giorni è possibile aderire alla sottoscrizione "Preferisco le preferenze" per l'introduzione delle preferenze nel testo di riforma di legge. Per informazioni e sottoscrizioni clicca qui www.change.org





Bene, bravi, bis!

Ogni istante mi inchioda a fare i conti col fallimento.

Sono stanca, distrutta, in uno stato di omeostasi in cui né mangio né dormo né penso né vivo.
Ė solo un momento, dicono tutti. Un momento a cui hai dato troppa importanza e che poi, in fondo, non è così tanto doloroso o mostruoso, perlomeno non più di quelli che ti ritroverai ad affrontare in futuro. E magari rimpiangerai di poter avere ancora preoccupazioni del genere. E tutte le tue reazioni ti saranno sembrate esagerate, al limite del buon senso, ancora per un po' compatibili con la razionalità.

Bene, bravi, bis!

Non sono ancora impazzita, ho ben chiaro i limiti della razionalità e il cammino verso la follia.
Ė solo che, sinceramente, rivendico il sacrosanto diritto di vivere con libertà le mie emozioni: la rabbia, la frustrazione, la paura di un potenziale fallimento, l'adrenalina e l'ansia da prestazione. Ė il giro di boa della mia vita, il punto di svolta, l'evento che attendo da sempre, da quando ho capito o forse mi sono illusa che la vita è lavoro e impegno, costanza e tenacia, fare per essere e per sentirsi vivi. Non ho contemplato il fallimento nel mio progetto di vita. Non ho pensato potesse arrivare e proprio ora che quasi mi viene incontro, o potrebbe venirmi incontro, lo rifuggo, lo magnifico, lo temo, e mentre lo temo non faccio nulla per arginarlo, affidandomi al più tipico dei comportamenti fatalistici, che mai il mio approccio da illuminista, da razionalista convinta, avrebbe contemplato di adottare. Il fato è la soluzione giusta per fronteggiare il fallimento, me ne convinco sempre più, ora dopo ora, in un vortice di auto-convinzione che mi impedisce di rasentare i confini della pazzia e il baratro dell'esaurimento. E sono nel mezzo, tra il destino e l'autodeterminazione, tra me e quello che potrei essere, tra ciò che sarà e quello che sarebbe potuto divenire.


Nel frattempo, però, mi sono convinta che forse è meglio vivere mentre aspetto di conoscere il vincitore fra il destino e la determinazione.